SCHOPENHAUER
SCHOPENHAUER
Schopenhauer riteneva
possibile offrire una duplice visione del mondo:
scientifica = lo
descrive nel suo apparire esteriore e fenomenico come «rappresentazione»;
filosofica= la quale,
andando oltre i fenomeni, arriva a comprendere che la sua essenza consiste
nella «volontà».
Queste due
prospettive vengono sviluppate nell’opera maggiore del filosofo: Il mondo
come volontà e rappresentazione.
Dire che il mondo
è una nostra rappresentazione significa che esso è dato sempre e soltanto in
relazione ai nostri organi di senso e alle nostre facoltà conoscitive: le forme
a priori dello spazio e del tempo e la categoria della causalità.
Le cose sono un
reticolo di connessioni elaborate in virtù dei principi di individuazione e di
ragion sufficiente, con i quali il soggetto “filtra” ogni dato percettivo.
Tale dimensione
fenomenica, che è quella della scienza, non è che sogno e illusione.
In questo egli
differisce da Kant, per il quale essa costituiva l’ambito della conoscenza
oggettiva.
L’identificazione
del mondo fenomenico con la dimensione dell’illusione e dell’inganno era già
stata sostenuta dal pensiero orientale, a cui Schopenhauer fa esplicito
riferimento riprendendo il concetto di “velo di Maya”, ossia l’immagine che
rappresenta l’esperienza sensibile come un “velo” che nasconde la vera essenza delle
cose.
Secondo il
filosofo l’uomo non è soltanto fenomeno e rappresentazione, ma anche corpo, e
in quanto tale avverte in se stesso un’incessante brama di vivere e di
autoconservazione.
Grazie al proprio
corpo l’uomo può squarciare il velo di Maya che nasconde la verità e capire
veramente la propria natura che consiste nella volontà.
La volontà = è un impeto
cieco e insopprimibile, che lo porta a desiderare sempre nuove cose e lo rende
schiavo di una condizione di desiderio continuamente inappagato.
La vita umana è
come un pendolo, che oscilla tra il desiderio (inevitabilmente frustrato) e la
noia (che subentra quando cessa la frenesia dell’azione e della ricerca di appagamento),
trovando quiete solo nel fugace e transitorio istante del piacere, inteso come cessazione
del dolore.
La volontà colta
nell’esperienza corporea è l’essenza di tutto l’universo, un principio
universale di
cui la
molteplicità degli esseri non è che manifestazione e oggettivazione.
Tutto, nel mondo,
è accomunato dallo stesso cieco impulso che comporta inquietudine e
dolore: esso è il
noumeno, la “cosa in sé” sottesa alla realtà.
Tuttavia, per
Schopenhauer esistono tre vie di liberazione dal dolore:
· l’arte
· la morale
· l’ascesi.
L’esperienza estetica costituisce un
primo tentativo di affrancarsi dalla volontà, poiché attraverso la
contemplazione disinteressata dell’oggetto, disattiva il desiderio e i
sentimenti negativi che a esso sono inevitabilmente connessi.
La morale consente di superare il principio di
individuazione caratteristico della vita quotidiana, facendo sì che l’uomo cessi
di considerarsi un individuo contrapposto ad altri, per cogliersi quale
espressione dell’unica volontà universale che accomuna tutti gli esseri.
Ma la possibilità
di estirpare alla radice la volontà di vivere è data dall’ascesi. Essa consiste
nella metodica e costante
soppressione dei desideri e dei bisogni e
ha come scopo il raggiungimento del nirvana, cioè la dimensione del “nulla” inteso come negazione della volontà di vita e del mondo che ne è manifestazione.
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