KIERKEGAARD
KIERKEGAARD
BIOGRAFIA
Nato da Michael Pedersen e dalla sua seconda moglie
Ane Sørensdatter Lund, Kierkegaard visse la quasi totalità della sua esistenza
a Copenaghen,
dove nacque e morì.
Fu l'ultimo di sette fratelli, cinque dei quali
morirono prima che lui avesse compiuto i venti anni. La tragedia dei fratelli e l'educazione
ricevuta fecero di Kierkegaard un uomo malinconico
e riflessivo.
Educato dal padre anziano con una particolare
ossessione per il peccato, in un'atmosfera di severa religiosità.
La morte prematura della moglie e di cinque dei suoi
sette figli aveva convinto il Michael Pedersen che egli aveva attirato su di sé
una maledizione divina. Kierkegaard arrivò quindi a pensarsi soggetto di essa.
Nonostante la rigida educazione, Kierkegaard sviluppò
un preminente senso dell'ironia.
Nel 1840, si fidanzò con la diciottenne Regina Olsen
ma, dopo circa un anno, ruppe il fidanzamento. La rottura del fidanzamento gli
procurò rimpianto per tutta la vita.
Kierkegaard condusse un'esistenza appartata dove la
meditazione e lo studio occupava gran parte del suo tempo.
Egli viaggiò pochissimo fuori dalla sua Danimarca.
Compì solamente alcuni viaggi a Berlino, uno dei quali per presenziare alle lezioni della nuova filosofia di Schelling.
Dapprima entusiasta, Kierkegaard si rese conto che
quella nuova filosofia era fine
a sé stessa, interruppe quindi la frequenza delle lezioni e se ne tornò a
Copenaghen.
La sua filosofia prese corpo da un doppio rifiuto, ossia
il rifiuto della filosofia hegeliana e l'allontanamento dal vuoto formalismo della Chiesa
danese.
Quanto alla polemica che egli condusse contro il
conformismo religioso, Kierkegaard accusava la Chiesa danese, di essere mondana e di aver
tradito gli insegnamenti originari di Gesù Cristo.
Nell'ottobre del 1855 gli fu diagnosticata
una grave lesione spinale e un'emorragia cerebrale.
Kierkegaard morì in ospedale un l'11 novembre.
IL PENSIERO
Per Kierkegaard: l’esistenza viene rappresentata come
una dimensione problematica = ovvero
priva di certezze, attraversata dal dubbio e dall’inquietudine.
La vera drammaticità riguarda
= la scelta tra le possibilità
fondamentali dell’esistenza:
· la
vita estetica =Johannes e Don Giovanni
· la
vita etica = il marito
· la
vita religiosa = Abramo ed Isacco
LA VITA
ESTETICA
La vita estetica è
propria di colui che vive l’attimo, l’istante eccezionale, cercando di
assaporare il piacere della vita.
Figure emblematiche di
questa condizione sono:
· Johannes
= protagonista del Diario di un seduttore
ed emblema del seduttore intellettuale
· Don Giovanni
= l’eroe mozartiano simbolo del seduttore sensuale.
Noia e insensatezza
= affiorano in questo tipo di vita, rendendo l’esteta consapevole della propria
insufficienza e della propria miseria e gettandolo nella disperazione.
LA VITA
ETICA
La vita etica viene impersonata
dalla figura del marito.
Nello stadio etico l’uomo
sceglie la stabilità, la continuità, il sacrificio, accetta le strutture della
società, la famiglia e si accomuna agli altri uomini nella fatica del lavoro da
cui trae soddisfazione.
Anche nella vita etica,
però, nasce l’insoddisfazione e la noia
e il rischio della sua degenerazione nell’acquiescenza e nel conformismo.
Da ciò deriva un diffuso senso
di colpa e il pentimento per aver creduto nella propria autosufficienza.
LA VITA
RELIGIOSA
Questo sentimento di
pentimento, poco per volta, fa affiorare l’esigenza della vita religiosa =
ovvero la necessità di fare il salto dall’etica alla fede.
In Timore e tremore, un’opera incentrata sulla figura di Abramo, Kierkegaard
descrive la portata sconvolgente di questo passaggio.
Il patriarca biblico accetta di sacrificare Isacco, il suo unico figlio, perché Dio glielo ha comandato.
Ecco il paradosso della
fede:
· la
norma morale dettava che Abramo, in qualità di padre, era tenuto a salvaguardare
la vita del figlio
· la
fede però gli comanda l’opposto di quanto è ragionevole dal punto di vista
degli uomini e delle leggi
La vita religiosa rappresenta
il culmine dell’esistenza umana che,
per Kierkegaard, è fondata sulla scelta.
Per il filosofo =
l’esistere dell’uomo è concepito come ex-sistere
: “uscire da sé”, continua trascendenza dalla propria condizione verso il
futuro, ossia come progettualità e possibilità.
Tuttavia la possibilità è
la più «pesante» delle categorie, in
quanto è priva di qualsiasi garanzia di successo.
L’ANGOSCIA
E LA DISPERAZIONE
L’uomo, di fronte alla
possibilità, prova un sentimento di
angoscia, cioè di vertigine, di timore indefinito di sbagliare, di
scegliere male, in quanto è consapevole che nella scelta è messa in gioco la
sua stessa vita.
La scelta esistenziale
è sempre decisione tra alternative opposte, contraddittorie e pertanto comporta
un’assunzione radicale di responsabilità che per l’uomo è difficile da
sostenere.
L’altro sentimento
fondamentale che caratterizza l’esistenza umana è la disperazione = riguarda anch’essa la possibilità, riferita in
quanto all’essere stesso del soggetto.
Quest’ultimo è infatti
diviso da un’interna contraddizione:
· da
un lato vuole il proprio essere, ma si scontra inevitabilmente con i propri
limiti e la propria finitezza
· dall’altro
vuole disfarsi di sé per aspirare a un io migliore, ma ciò si rivela
impossibile
In entrambi i casi la
possibilità è destinata allo scacco.
La disperazione che ne
deriva è la «malattia mortale»
dell’uomo che non riesce e non può conciliarsi con se stesso e trovare la pace.
LA FEDE
L’unica via di uscita
dalla disperazione è la fede: in essa l’uomo, consegnandosi a Dio, trova quella
conciliazione con se stesso che non era possibile negli altri stadi
dell’esistenza.
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